Ville e Regole
La data di nascita della Comunità di Zoldo si può considerare il 22 agosto 1224, quando ottenne il diritto di essere rappresentata da due consoli nel Consiglio dei Nobili di Belluno. Si formarono e rafforzarono allora le Regole, tra le quali si distribuiva l' utilizzo e la tutela dei pascoli e dei boschi concessi alle varie ville (villaggi) in forma di proprietà collettiva per investitura della Serenissima Repubblica di Venezia.
Tale unità amministrativa si conservò fino al principio dell’Ottocento, quando vennero costituiti due comuni Forno di Zoldo e Zoldo Alto (ora uniti nel Comune di Val di Zoldo). In Zoldo si contavano dieci Regole, molte delle quali formate da più paesi, nel qual caso il paese più grande (Regola Granda) dava il nome alla regola.
I regolieri di ogni frazione si riunivano in assemblea generale il giorno di S. Giorgio (23 aprile) per eleggere il marigo che aveva funzioni direttive, il saltaro che fungeva da guardia boschiva e il terminatore a cui competeva dirimere le dispute sui confine. Ai marighi spettava anche il compito di eleggere quattro consoli che, assieme al capitano, nominato dai nobili di Belluno, e al cancelliere formavano il Consiglio Generale, che aveva sede a Forno nel cinquecentesco palazzo della Ragione detto anche palazzo del Capitaniato di Zoldo.
Il titolo di Regoliere spettava a ogni maschio e femmina di singola famiglia (foco) con cognome “originario” di appartenenza alla Regola, il luogo di residenza era detto “loco” e garantiva l’appartenenza attiva alla Regola, chi lasciava il “loco” perdeva il titolo, chi non aveva “foco” non aveva titolo, da cui il detto “aver foco e loco”, ovvero essere parte di famiglia stabilmente residente, originaria Zoldana.
Valle dei Ciodaroti
Nel 1347 Carlo IV di Trento assegnò a Jacopo degli Avoscano, nobile famiglia dell' Alto Cordevole, i capitaniati di Agordo e Zoldo, allora accomunati da interessi minerari. Secondo lo storico Tomaso Catullo l' industria siderurgica era attiva in Zoldo fin dal 1200 e da documenti della metà del 1300 risulta che a Forno esistesse un forno definito "vecchio", che fondeva forse il ferro estratto a Dont, o più probabilmente la pirite proveniente dalle miniere di Val Inferna, secondo alcuni attive già nell'anno Mille.
"...Zoldo, così nominato, ove sono gli asperi monti, da i quali se ne cava grand'abbondanza di ferro". scriveva Leadro Alberti nel 1551. In realtà non di miniere era ricco Zoldo, ma di officine. Nel XIV e XV secolo contava solo 1700 anime, ma l'attività di fusione e lavorazione del minerale ferroso aveva raggiunto livelli "industriali": tre altiforni fondevano il ferro, una decina di forni di seconda fusione producevano acciaio e ferro dolce, e un numero imprecisato di fusinèle fabbricavano più di 400 tonnellate di chiodi e attrezzi di lavoro.
Dal 1200 al 1600, soprattutto sotto la dominazione della Repubblica di Venezia, si ebbe in Zoldo il periodo di massima fioritura della lavorazione del ferro (e in misura minore dell’attività estrattiva), che ha caratterizzato la storia della valle fino alla fine dell’Ottocento, e che giustifica i simboli dell' incudine e del martello che compaiono sullo stemma dell' ex municipio di Forno di Zoldo.
L' impronta veneziana è presente a Forno nel Palazzo del Capitaniato (dove risiedeva il capitano inviato dal consiglio dei nobili di Belluno e che ora ospita il Museo del chiodo) e in altri palazzi dei notabili della valle (sulla riva destra del Ma è visibile il palaz fatto erigere dalla famiglia Grimani, concessionaria delle miniere di Val Inferna).
Sono testimonianze di anni prosperi sotto il governo della Serenissima, che dalla valle attingeva maestranze e riceveva attrezzi da lavoro, lame e chiodi. I chiodi di ferro in particolare sono stati un prodotto distintivo dello Zoldano. Chiodi di ogni forma e dimensione e per ogni utilizzo, dalle piccole brochè per le suole delle scarpe ai grandi ciòdi da barca per fissare il fasciame delle navi, fino agli enormi somesàt, lunghi più di un metro, per le travature dei moli. Le merci venivano trasportate a dorso di mulo lungo la malagevole strada del Canale, a Codissago venivano caricate su zattere che scendevano il Piave e arrivavano a Venezia, dove attraccavano al molo ancora oggi chiamato delle Zattere.
[ testi e foto di Paolo Lazzarin ]
Pestilenze e Calamità Naturali
Nel 1631 arrivò la peste, la più grave delle tante che già avevano colpito la regione: per due anni la valle ne fu sconvolta, perì forse un terzo della popolazione e il dissesto economico è facilmente immaginabile.
I forni di Zoldo già all' inizio del Seicento lavoravano il minerale proveniente dalle più ricche miniere del Fursil di Colle Santa Lucia, e alla fine del secolo, con l' abbandono della miniera di Val Inferna (tentativi infruttuosi vennero fatti nell’Ottocento), si spense nella valle ogni attività estrattiva.
Con la pace di Vienna Zoldo fu annesso al Regno Lombardo Veneto e, dopo mezzo secolo di dominazione austriaca, nell' ottobre del 1866 votò l'annessione al Regno d' Italia. Alle tradizionali attività della pastorizia e dalla magra agricoltura montana sembrò che dovesse tornare ad affiancarsi l'attività metallurgica e la produzione dei chiodi. Nel 1873 venne infatti fondata la Società Industriale Zoldana, che riuniva in forma cooperativa circa 600 soci legati alla produzione e al commercio dei chiodi. "..qui gli uomini di Zoldo in massima parte fabbri fanno chiodi da tempo immemorabile ....e mandano i loro prodotti a dorso di muli a Longarone...." scrive Amelia B. Edwards nel suo diario del viaggio del 1889. La Società Industriale Zoldana dovette però chiudere prima della fine del secolo. La rivoluzione industriale e la concorrenza dei chiodi fatti a macchina si faceva sempre più pesante, e a dare il colpo decisivo intervenne nel 1890 una disastrosa alluvione che travolse case, strade e ponti, e cancellando pressochè totalmente le fusinèle, che per sfruttare la forza motrice dell' acqua erano tutte costruite a ridosso dei torrenti.
Valle del Gelato
L' attività metallurgica non deve far pensare che in valle non fossero praticate le tradizionali attività della montagna, ma agricoltura e pastorizia non sono mai state sufficienti a garantire con continuità l'economia delle popolazioni alpine.
Già all’inizio dell'Ottocento erano apparse in Zoldo le prime avvisaglie di emigrazione massiccia, e comunque anche nei secoli precedenti i valligiani avevano cercato lavoro lontano da casa. Numerosa fu la manodopera scesa all'arsenale di Venezia a esercitare le "arti meccaniche" o quella di “maestro d’ascia”, per le quali gli zoldani erano molto ricercati, e molti altri raggiunsero miniere e cantieri dell' Europa centro-orientale ai tempi dell' impero austro ungarico. Più significativi, e premonitori di un fortunato futuro, sono però i primi abbozzi di attività commerciale che iniziarono nella seconda metà dell’Ottocento in forma stagionale e itinerante.
Artigiani del gelato
Alla figura dello zoldano boscaiolo e fabbro dobbiamo allora associare quella del venditore ambulante, attività in cui non mancò di distinguersi, come era stato per esempio per la famiglia Colussi, originaria di Pianàz, emigrata a Venezia nel 1700 a far biscotti. Alla fine del secolo ebbe inizio anche l'emigrazione verso le Americhe, soprattutto del Centro e del Sud, come ricorda a Forno il ponte sul Maè, battezzato Rio Jordao in occasione del gemellaggio con quel piccolo villaggio dello stato di Santa Caterina, in Brasile, dove ancora oggi si parla dialetto zoldano.
Gli zoldani dapprima giravano per le città dell’Impero con le caudiere delle pere cotte o le ceste di biscotti e caramelli; poi iniziarono a vendere “sorbetti” con i caratteristici carrettini, e nel periodo fra le due guerre non c’era città d’Europa che non contasse una gelateria zoldana. Oggi il gelato artigianale zoldano è conosciuto in tutto il mondo, fino in Cina, Giappone e Sud Africa, tanto che Zoldo é definita “la valle del gelato”.